È un problema di salute grave, poco conosciuto ai più, ma prepotentemente salito alla ribalta di recente. Parliamo dell’emorragia cerebrale, che ha colpito l’ex portiere della Juventus Stefano Tacconi. Al momento è ancora in rianimazione ma, come ha dichiarato di recente la moglie, cominciano a vedersi i primi segni di reazione.
Certo, la strada è lunga, e saranno necessarie una lunga convalescenza e la riabilitazione, ma per fortuna nel suo caso il soccorso è stato tempestivo. Ma così dovrebbe essere per tutti. Per questo, è importante conoscere l’emorragia cerebrale, i sintomi e cosa fare subito.
Che cos’è l’emorragia cerebrale
A causare l’emorragia cerebrale è la rottura di un vaso arterioso cerebrale, con fuoriuscita di sangue all’interno del cranio e la formazione di un ematoma nel parenchima cerebrale, oppure nelle cavità ventricolari, o ancora, negli spazi subaracnoidei. Il principale colpevole dei danni è l’ipertensione arteriosa quando non è controllata farmacologicamente: è responsabile di oltre sei casi su sette di emorragia cerebrale.
Se la pressione è troppo elevata, infatti, può “sfiancare” le pareti delle arteriole cerebrali fino alla rottura, un po’ come accade per gli argini di un fiume in piena. Altre ragioni? Problemi gravi neurologici quali l’aneurisma, come nel caso di Stefano Tacconi, oppure l’impiego di alcuni farmaci come gli anticoagulanti, specie se non ci si sottopone agli stretti controlli che vengono richiesti per queste terapie. Possono esserne una causa anche le neoplasie cerebrali e i traumi gravi alla testa.
Emorragia cerebrale: attenzione ai sintomi
A rendere particolari i sintomi è la loro manifestazione. Si scatenano all’improvviso, in modo violento e non calano di intensità. I più importanti? Mal di testa, vomito, nausea, stato di incoscienza, disturbi della sensibilità, della coordinazione, del linguaggio, emiparesi oppure emiplegia.
Il tempo è il grande nemico e per questo, di fronte a uno o più di questi sintomi, tutto deve avvenire rapidamente, a partire dalla richiesta di un aiuto medico. Sì dunque a chiamare subito l’ambulanza descrivendo i disturbi il più chiaramente possibile durante la telefonata. Perché in questo modo la persona viene portata direttamente in una Stroke Unit, cioè in uno dei centri in assoluto più attrezzati per le emergenze cerebro-vascolari e presenti ormai pressoché ovunque in Italia. Qui vengono eseguiti immediatamente gli esami necessari a visualizzare la zona dove si è accumulato il sangue e di identificarne la causa.
È vietato invece cercare di fornire i primi soccorsi alla persona, perché il rischio è di aggravare la situazione. Questo vale anche per il classico sorso d’acqua, perché potrebbe provocare una crisi di soffocamento.
L’intervento? Non sempre
Gli esami che vengono eseguiti all’arrivo in pronto soccorso sono determinanti per la valutazione della terapia più ad hoc. In base alla causa, alla sede e all’estensione dell’ematoma, la strategia può essere chirurgica, oppure conservativa. La scelta dell’opzione chirurgica viene effettuata dal neurochirurgo.
Se l’emorragia è di lieve entità, può essere indicato il trattamento endovascolare, che consiste nella micro emobolizzazione dei vasi che stanno sanguinando, utilizzando un catetere inserito attraverso dei piccoli tagli. Il più delle volte comunque l’intervento è quello tradizionale di neurochirurgia, perché esponendo il vaso sanguinante è possibile valutare direttamente anche la presenza di eventuali altre emorragie che altrimenti non verrebbero intercettate a causa della massa di sangue nel cervello.
La terapia più utilizzata
Il trattamento conservativo prevede la somministrazione di diuretici ed eventualmente di corticosteroidi per ridurre la pressione intracranica, di antipertensivi per ridurre la pressione sanguigna e di conseguenza anche il rischio di ulteriori emorragie, e se necessario, anticonvulsivanti e antiemetici. In questi pazienti viene eseguito uno stretto monitoraggio della situazione a livello neurologico e dei parametri vitali.
Una volta definito attraverso esami specifici che l’emorragia è cessata, le linee guida dell’American Heart Association, indicano che a distanza di un tempo variabile tra uno e quattro giorno dall’esordio, può essere valutata in pazienti con mancanza di mobilità, la possibilità di somministrare l’eparina sottocutanea a basso peso molecolare oppure l’eparina non frazionata, per la prevenzione del tromboembolismo venoso.