Un intervento cardiochirurgico e la necessità di eseguirlo a cuore fermo. È una comunicazione che incute timore: com’è possibile far sì che il cuore non batta più temporaneamente? Cosa accade all’organismo in questa fase? E qual è il ruolo dell’eparina? Scopriamolo insieme, passo dopo passo.
Che cos’è?
La prima volta che è stato eseguito un intervento in circolazione extracorporea è stato nel 1953. Da allora, la tecnologia ha fatto passi da gigante, così come la ricerca, con lo scopo di rendere sempre più sicura la tecnica. Nella sostanza, però, non è cambiato l’obiettivo. La funzione della circolazione extracorporea è quella di fare le veci del cuore e dei polmoni. In sostanza, sostituisce temporaneamente l’azione di pompa del muscolo cardiaco e quella di ventilazione dell’apparato respiratorio: in questo modo, viene mantenuta l’ossigenazione e la circolazione del sangue agli organi nella fase centrale dell’intervento, cioè quando il chirurgo ha bisogno di avere il cuore fermo.
Quando?
La circolazione extracorporea viene impiegata quando è necessario intervenire direttamente sul muscolo cardiaco. Gli interventi di cardiochirurgia più comuni? Innanzitutto, riparare oppure sostituire una valvola cardiaca. La valvola cardiaca ha un compito importante: quando il cuore si contrae per dare la massima spinta al sangue, si dilata e fa sì che il sangue venga immesso nel circolo sanguigno, cioè in tutti i vasi e capillari dell’organismo. Problemi di salute come l’insufficienza respiratoria, possono però nel tempo alterare la valvola che perde la sua elasticità e non riesce più a regolare il flusso del sangue. Questa situazione danneggia il cuore ed è necessario sostituire la valvola danneggiata.
La circolazione extracorporea è utile anche quando è necessario intervenire sull’aorta a livello dell’arco aortico, un vaso sanguigno più grande e più importante perché porta il sangue dal cuore a tutto il corpo. Inoltre, per citare i casi più comuni, viene impiegata per eseguire i by pass aorto-coronarici. È la scelta in caso di coronarie malate per aterosclerosi: si tratta di una specie di “ponte” che scavalca la parte di vaso sanguigno ristretto.
La circolazione extracorporea viene utilizzata anche in caso di trapianto, oppure di interventi chirurgici complessi in pazienti con insufficienza cardiaca.
In cosa consiste?
Il macchinario che permette la circolazione extracorporea dispone di un mix di cannule con compiti diverse. La cannulazione venosa fa sì che il sangue venga deviato dall’atrio destro del cuore, oppure dalle vene cave, al macchinario. Qui viene filtrato, ossigenato, e trasportato attraverso la cannulazione arteriosa al tratto più distale dell’aorta ascendente. Al termine, si procede gradualmente a ripristinare la circolazione fisiologica, in modo che il cuore e il polmone riprendano man mano la loro attività.
Qual è il ruolo dell’eparina?
Prima di posizionare le cannule, al paziente viene somministrata l’eparina. La dose viene decisa in base al peso della persona e ad altri parametri. Una volta somministrato il farmaco anticoagulante, viene eseguito il controllo sul sangue del valore dell’ACT, cioè il tempo di coagulazione attivato. È un’analisi importante perché permette di avere informazioni fondamentali prima di procedere con la circolazione extracorporea. È necessario infatti ottenere una buona anticoagulazione per ridurre al minimo il rischio trombotico perché a contatto con tessuti non biologici il sangue tende a coagulare.
Come avviene il monitoraggio?
Tutti i parametri vitali vengono strettamente monitorati in ogni fase dell’intervento, per agire tempestivamente nel caso in cui insorgano eventuali problemi.
La pressione arteriosa sistemica viene costantemente tenuta sotto controllo attraverso il catetere arterioso, in modo da eseguire emogasanalisi sul sangue arterioso e per la valutazione della coagulazione del sangue.
La temperatura corporea viene monitorata attraverso sonde nasali e vescicali, durante la fase di raffreddamento e di riscaldamento del paziente.
La saturazione dell’ossigeno viene tenuta sotto stretto controllo, con particolare attenzione nelle fasi di ipotermia profonda e di “cuore fermo”.
La funzione cerebrale viene monitorata grazie all’elettroencefalogramma. Inoltre, per il controllo dei livelli di ossigeno cerebrale viene utilizzata la spettroscopia a infrarossi.
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