Dai biologici ai biotecnologici
Il termine “biotecnologico” è stato attribuito per la prima volta a un farmaco nel 1982, quando si cominciò a produrre il primo farmaco con queste caratteristiche, l’insulina. Questo risultato poté essere ottenuto grazie all’introduzione del gene codificante l’ormone in quello del batterio Escherichia coli: l’insulina così prodotta era sostanzialmente identica a quella umana e ciò ha rivoluzionato la cura di milioni di pazienti diabetici consentendo loro una vita accettabile. Altri farmaci seguirono con le stesse caratteristiche, quali l’ormone della crescita, i fattori granulocitari, l’eritropoietina, le eparine a basso peso molecolare, tutti di origine umana.
Oggi molti farmaci biotecnologici sono rappresentati da anticorpi monoclonali. Il concetto di prodotto “biotecnologico” ovviamente non deve essere applicato solo ai farmaci, ma può invece estendersi ad altre aree, come quella agraria e zootecnica. Questo concetto può essere quindi riassunto nell’espressione che ne sintetizza la modalità di produzione: un prodotto biologico per il quale struttura chimica e modalità di produzione vengono eventualmente modificate artificialmente dall’uomo per migliorarne la qualità.
Ne deriva che i farmaci biotecnologici appartengono alla più grande categoria dei farmaci biologici, il cui principio attivo è una sostanza prodotta o estratta da una sorgente biologica. In altre parole, i farmaci biologici che vengono prodotti con modalità che ne migliorano la qualità o ne aumentano la resa sono definiti “biotecnologici”. Possiamo quindi affermare che tutti i farmaci biotecnologici sono biologici, ma solo alcuni farmaci biologici sono biotecnologici.
Le procedure che sono più frequentemente adottate per la produzione dei farmaci biotecnologici comprendono le tecnologie da DNA ricombinante, l’espressione controllata di geni codificanti proteine biologicamente attive nei procarioti e negli eucarioti, i metodi a base di ibridomi e di anticorpi monoclonali. L’evoluzione delle metodologie e della loro complessità alla base della produzione dei farmaci biotecnologici può essere considerata parallela al crescere del peso molecolare dei farmaci che sono stati prodotti nel corso degli ultimi trent’anni: da quello dell’insulina (5.808 D), a quello dell’ormone della crescita (22.000 D), a quello di un anticorpo monoclonale (circa 150.000 D).
Inoltre, la qualità delle metodologie che hanno consentito la produzione dei vari farmaci biotecnologici si misura anche in relazione al sempre più ridotto potenziale immunogenico di essi: l’avanzamento del processo di produzione e la presenza di impurità nel prodotto finito sono infatti alla base della bassissima immunogenicità dei farmaci biotecnologici più recenti.
Tra questi vanno menzionati anche farmaci biosimilari, ovvero prodotti simili a farmaci biotecnologici che hanno perso il
brevetto. Molti di questi farmaci, pur essendo considerati “equivalenti” a farmaci il cui brevetto risale a più di venti anni addietro, poiché prodotti con metodologie più avanzate e tecniche più sofisticate possono essere qualitativamente migliori rispetto ai loro “originator”. È per questo che questi biosimilari vengono definiti “bio-better”.
I biotecnologici rappresentano il 20% dei farmaci oggi in commercio e il 50% di quelli in sviluppo. In molti casi essi rappresentano l’unica opzione terapeutica per patologie rilevanti e diffuse come anemia, fibrosi cistica, diversi tumori e malattie rare, per lo più di origine genetica. Il meccanismo d’azione dei farmaci biotecnologici può essere molto diverso. Essi possono essere, per esempio, proteine modificate che agiscono selettivamente su recettori o siti di legame cellulari specifici. In questo caso, l’azione mirata del farmaco influenza positivamente il risultato terapeutico nei confronti della malattia tumorale poiché essa è in grado di risparmiare le cellule sane con un miglioramento del profilo di tollerabilità del trattamento, a tutto vantaggio del paziente e della sua qualità di vita.