Studio INIXACOVID19: intervista al prof. Andrea Stella

INHIXACOVID19 è stato il primo trial clinico approvato da AIFA nel 2020 sull’uso di eparina nei pazienti Covid e l’unico giunto finora a compimento. Lo studio ha coinvolto 13 centri italiani, che hanno arruolato oltre 300 pazienti in uno stadio della malattia moderato-severo. Lo scopo era valutare sicurezza ed efficacia di enoxaparina, somministrata a un dosaggio intermedio e aggiustato in base al peso corporeo e dopo valutazione del FXa, uno dei fattori della coagulazione. A stilare il protocollo, un pool di esperti,  tra i quali il professor Andrea Stella, già Ordinario di Chirurgia Vascolare all’Università di Bologna.

Professor Stella, da dove prende le mosse lo studio InhixaCovid19?

«Si era osservato fin dagli esordi della pandemia che l’infezione da Sars-Cov-2 era accompagnata da complicazioni trombotiche. In seguito erano stati pubblicati degli studi che confermavano un’elevata incidenza di coagulopatie e l’evidenza che se i pazienti venivano trattati con eparina, avevano una prognosi migliore. Contemporaneamente eravamo venuti a conoscenza di alcuni test in vitro condotti da ricercatori cinesi proprio nel momento dell’exploit pandemico che sembravano dimostrare un’efficacia antivirale dell’enoxaparina. Questo ci ha convinto a verificare in vivo le nostre intuizioni».

Cosa avevano osservato i cinesi?

«Mettendo a contatto le cellule infettate da Covid-19 con alte concentrazioni di enoxaparina sodica, il virus riduceva la sua presenza fino quasi a scomparire, cosa che non succedeva utilizzando un classico antivirale come il remdesivir. Così l’Unità Operativa di Malattie Infettive dell’Università di Bologna, grazie al supporto e alla collaborazione di  Techdow Pharma Italy, ha dato il via alla stesura del protocollo e al coordinamento dello studio policentrico».

Vi siete dati una spiegazione del perché il virus reagisce in questo modo all’eparina?

«L’interpretazione di questo meccanismo si basa su conoscenze ben chiare: il virus entra nella cellula utilizzando prima l’eparan solfato, presente sulla superficie cellulare, per poi entrare nella cellula stessa attraverso  il recettore ACE2. Eparan solfato ed eparina hanno una struttura molecolare molto simile e questo potrebbe spiegare il legame che si crea al momento del contatto tra eparina e virus, come se quest’ulrimo venisse “fuorviato dalla presenza del farmaco. Una volta all’interno della cellula, il virus provoca un danno spesso irreparabile liberando dal suo interno sostanze tossiche e procoagulanti come le citochine. Il farmaco dimostra quindi di avere anche un potenziale effetto antivirale, oltre alla già nota azione anticoagulante e antinfiammatoria».

Come sono state stabilite le dosi da somministrare ai pazienti?

«Già a gennaio 2020 l’OMS aveva raccomandato di prevenire il tromboembolismo venoso nei pazienti con virus SARS-CoV-2 somministrando eparina, preferibilmente a basso peso molecolare a dose di profilassi. Gli studi osservazionali di coorte avevano mostrato però un’alta frequenza di complicanze tromboemboliche, soprattutto nei pazienti critici. Per questo si è pensato di aumentare le dosi rispetto a quelle standard di tromboprofilassi, in base non solo al peso dei pazienti ma anche al controllo della coagulazione. Tutti hanno ricevuto enoxaparina biosimilare per via sottocutanea, in mono-somministrazione giornaliera: un gruppo di 203 con dose di profilassi, pari a 40 mg, e un gruppo di 101 con dosi intermedie di 60, 80 (nell’80% dei casi) o 100 mg».

Quali sono stati i risultati?

«L’enoxaparina così somministrata ha determinato una riduzione statisticamente significativa dell’ospedalizzazione dei pazienti:  8-16 giorni, contro 11-22 giorni nel gruppo di controllo. Inoltre  è rilevante il numero di pazienti in cui sono migliorate le condizioni cliniche passando a uno stadio più lieve della malattia: 65,3% nel gruppo con enoxaparina a dose intermedia, contro 52,2% del gruppo con dose di profilassi e ciò è avvenuto rapidamente, ossia nei 14 giorni di controllo».

Quale conclusione si può trarre dunque dal trial InhixaCovid19?

«Una dose maggiore di enoxaparina, rispetto a quella profilattica, somministrata in uno stadio della patologia non critico e in cui ancora non si è sviluppata ancora la complicazione trombotica, ha determinato un miglioramento dei sintomi e la riduzione delle giornate di ricovero. Inoltre non si sono registrati eventi avversi legati alla somministrazione del farmaco. Sono tutti dati che comunque necessitano di conferme con studi futuri su grandi numeri ma le prospettive aperte da questo trial sono davvero molto promettenti, non solo in funzione del Covid ma anche di altre patologie. L’eparina è un vecchio farmaco ma dimostra di avere ancora molte potenzialità per la prevenzione tromboembolitica nelle malattie infettive acute».

 

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