Si allunga l’elenco dei disturbi che si manifestano in chi guarisce dall’infezione da Sars-Cov-2, ma accusa il corollario di sintomi caratteristico del Long Covid. Ad incrementare ulteriormente la lista è uno studio appena pubblicato sul British Medical Journal*. Si tratta di un lavoro scientifico importante, perché per la prima volta porta l’attenzione sul “dopo”, cioè su chi continua ad accusare disturbi, quali la stanchezza e i disturbi di memoria, anche a mesi di distanza dalla guarigione dall’infezione. Proprio focalizzandosi su questi pazienti, lo studio ha messo in luce un inaspettato rischio di trombosi venosa profonda, di embolia polmonare e di sanguinamenti.
Cosa dice lo studio
A tutt’oggi è il lavoro scientifico più ampio mai pubblicato per quanto riguarda il long Covid. I ricercatori si sono basati sui dati dei registri nazionali dell’Agenzia Nazionale svedese per la salute pubblica e del Consiglio nazionale svedese per la salute e il benessere: hanno incluso tutte le persone in Svezia con un test positivo dall’inizio della pandemia fino a maggio 2021. Nel corso di questo lasso di tempo, sono stati calcolati l’incidenza di coaguli di sangue e di sanguinamento dopo l’infezione, e lo stesso controllo è stato effettuato in persone che non si sono ammalate.
I risultati
Dopo aver tenuto conto dei fattori confondenti, i ricercatori hanno riscontrato un aumento di cinque volte del rischio di trombosi venosa profonda, di 33 volte del rischio di embolia polmonare e di quasi due volte del rischio di sanguinamento nei 30 giorni dopo l’infezione.
Sì all’eparina
Come hanno sottolineato i ricercatori, i risultati di questo studio suggeriscono che il COVID-19 è un fattore di rischio per trombosi venosa profonda, embolia polmonare ed emorragie. Inoltre, potrebbero avere un impatto sulle raccomandazioni sulle strategie diagnostiche e profilattiche, e in primo luogo sulla terapia con eparina, contro il tromboembolismo venoso dopo il COVID-19. Supportano inoltre misure atte a prevenire gli eventi trombotici, in particolare nei pazienti ad alto rischio, e rafforzano l’importanza della vaccinazione contro il COVID-19.
Che cos’è il long Covid
Dopo la guarigione, persistono per un tempo anche fino a tre mesi disturbi quali problemi respiratori, dolori alle ossa, stanchezza, che di solito si risolvono da sé. Ma in circa due adulti su 10, che hanno avuto una forma grave, ma anche lieve, i disturbi cambiano. Ed ecco il Long Covid. Il disturbo più comune è la cosiddetta nebbia cerebrale, che riguarda sette pazienti su dieci.
Ad oggi non è ancora ben chiaro il meccanismo, ma secondo l’ipotesi più accreditata, alla base ci sarebbero alterazioni nella microcircolazione cerebrale e metaboliche. Sono parecchio diffusi anche i disturbi cardiocircolatori, la stanchezza incontenibile ed esagerata, le alterazioni del gusto e dell’olfatto, i disturbi del sonno, la cefalea e, benché in casi ridotti, la perdita temporanea dei capelli.
Come si cura
Già a partire da giugno 2020 negli ospedali si è avvertita la forte necessità di avere degli ambulatori dedicati alla diagnosi e alla cura del long Covid. Da qui, la creazione di strutture multidisciplinari, dal momento che sono così tante le sfaccettature da non poter essere affrontate da un’unica figura medica. Sono necessari infatti lo psicologo, il neurologo, il fisiatra, il cardiologo, lo pneumologo, per citarne solo alcuni. Ad oggi non ci sono ancora terapie specifiche. Esistono però studi in corso, con l’obiettivo di avere a disposizione farmaci, integratori, tecniche ad hoc. Quello che stanno notando però i medici nella pratica quotidiana, è che in si ammala ma è vaccinato, l’impatto del long Covid è decisamente inferiore.
* Risks of deep vein thrombosis, pulmonary embolism, and bleeding after covid-19: nationwide self-controlled cases series and matched cohort study