Eparina in oncologia – Il rischio di tromboembolismo venoso rappresenta una spada di Damocle che accompagna il paziente oncologico lungo tutto il percorso terapeutico. A determinarlo, è un mix di meccanismi fisiopatologici: la cosiddetta triade di Virchow (alterazioni dell’emostasi e della parete vasale e la stasi ematica) e alterazioni qualitative e quantitative delle piastrine e dei leucociti.
«Ad oggi non è ancora possibile determinare con certezza quali sono le tipologie di pazienti che potrebbero essere più vulnerabili allo sviluppo di trombosi», sottolinea Saverio Cinieri, Presidente AIOM, Associazione Italiana di Oncologia Medica. «Nonostante ci siano delle alterazioni nei marker circolanti di attivazione della coagulazione, infatti, non ne è stato ancora stabilito il valore predittivo».
La pratica clinica però ha permesso di ipotizzare le fasi più critiche del percorso terapeutico e di accertarne le veridicità grazie a studi clinici internazionali.
Mai abbassare la guardia
Un’elevata incidenza di tromboembolismo venoso è presente nel corso delle terapie farmacologiche antitumorali come la chemioterapia tradizionale, la terapia ormonale, la terapia antiangiogenica e i farmaci biologici. A essere più a rischio sono le donne con tumore del seno, con un’incidenza tra il 5 e il 17% a seconda dello stadio della malattia, del tipo di terapia, dell’età e della condizione menopausale.
«Nel corso della chemioterapia ad esempio, il rischio è pari a 10.8 volte superiore rispetto alle donne che non eseguono chemio e pari a 8.4 nel primo mese dopo la sospensione. L’attenzione però deve mantenersi elevata anche dopo, perché il rischio si mantiene cinque volte più elevato anche dopo tre mesi dalla fine del trattamento». Il rischio è particolarmente elevato anche in chi sta seguendo un trattamento chemioterapico a causa di una malattia metastatica.
La chirurgia è sempre un rischio
Le Linee Guida 2020 AIOM indicano la necessità della profilassi antitrombotica per ridurre il rischio di tromboembolismo venoso. Nel ventaglio dei farmaci disponibili, come prima opzione dovrebbe essere presa in considerazione la profilassi con eparina a basso peso molecolare, come sottolineato anche dagli studi clinici con un dosaggio profilattico più elevato in caso di chirurgia oncologica maggiore.
«Gli studi hanno anche dimostrato che nei pazienti sottoposti a chirurgia oncologica maggiore, dovrebbe essere presa in considerazione come prima azione la profilassi con eparina a basso peso molecolare, con una durata superiore rispetto a quanto avviene per gli interventi tradizionali», dice il professor Cinieri.
«La durata standard della profilassi perioperatoria è di circa una settimana, a parte qualche eccezioni, mentre nel caso degli interventi di chirurgia oncologica maggiore, andrebbe estesa fino a quattro settimane dopo l’operazione».
Il ricovero per evento acuto: un fattore da non sottovalutare
In assenza di profilassi, l’incidenza di tromboembolismo venoso in pazienti ospedalizzati varia dal 10 al 40%. «I pazienti oncologici ospedalizzati devono ricevere una terapia profilattica con anticoagulanti», chiarisce il professor Cinieri. «a meno che non coesistano controindicazioni di tipo emorragico».
A dimostrarlo sono diversi studi, con una percentuale di pazienti oncologici inclusi pari al 10-15% della casistica, che comprende pazienti ospedalizzati con scompenso cardiaco, insufficienza respiratoria acute o infezione in atto. In particolare, l’analisi specifica nel sottogruppo di pazienti con cancro ha dimostrato come l’impiego di enoxaparina 40 mg/die s.c. consente di ridurre di circa il 60% l’incidenza di tromboembolismo venoso.