Identikit di una malattia: l’ictus ischemico

L’ictus, dal latino “colpo”, è una malattia che colpisce il cervello quando una parte di questo viene danneggiata o distrutta. Si verifica quando il flusso di sangue che arriva ai tessuti cerebrali viene interrotto per più di 24 ore o con esito fatale. L’ictus ischemico, o ischemia cerebrale, è il tipo di ictus più frequente: il trombo che si forma all’interno dell’arteria impedisce l’afflusso di sangue al cervello, così le cellule che prima venivano nutrite da quell’arteria subiscono un infarto e muoiono. Un’altra forma di ictus cerebrale, quello emorragico, causato invece dalla rottura di un vaso sanguigno che irrora l’encefalo, è meno frequente di quello ischemico, ma potenzialmente più fatale.

Fattori di rischio e prevenzione

Sono i 10 principali fattori di rischio modificabili dell’ictus. Contrastarli con uno stile di vita sano, controlli regolari ed eventualmente farmaci può abbassare fino al 90% il rischio di ictus. Il consiglio principale è di adottare una dieta il più possibile vicina al modello mediterraneo, riducendo i grassi, la carne rossa e i dolci, abbondare di frutta e verdura, condire con olio extravergine d’oliva crudo, privilegiare carboidrati provenienti da fonti semplici, come il pane. Uno studio pubblicato sulla rivista Stroke dell’American Heart Association ha rilevato che le persone con bassi livelli di attività fisica (sedentarie per otto o più ore al giorno) hanno un rischio di ictus fino a sette volte maggiore rispetto alle persone fisicamente più attive.

Di seguito i fattori di rischio modificabili che contribuiscono maggiormente a un aumentato rischio di ictus ischemico:

Ipertensione Fumo di sigaretta Dislipidemia
Diabete Insulino-resistenza Obesità addominale
Eccessivo consumo di alcol Carenza di attività fisica

Dieta ad alto rischio
(ad alto contenuto di grassi saturi, grassi trans e calorie)

Stress e depressione Disturbi cardiaci
(in particolare infarto miocardico acuto, endocardite infettiva e fibrillaziome atriale)
Uso di alcune droghe
(come cocaina e anfetamine)
Ipercoagulabilità Vasculite Uso di estrogeni esogeni

 

I fattori di rischio non modificabili comprendono:

  • Pregresso ictus
  • Sesso
  • Razza/etnia
  • Età avanzata
  • Anamnesi familiare positiva per ictus

Sintomi: i 5 campanelli d’allarme

Sono cinque i campanelli di allarme dell’ictus cerebrale:

  1. Una debolezza o insensibilità di una metà del volto e di uno degli arti (braccio o gamba) della metà del corpo, che può essere caratterizzata anche da formicolii
  2. Incapacità di esprimersi o di comprendere anche semplici frasi
  3. Visione annebbiata, oscuramento o perdita di visione da un solo occhio
  4. Sbandamento o cadute, mancanza di coordinazione, fino alla perdita di conoscenza
  5. Grave mal di testa.

Possono comparire uno o più di questi disturbi, oppure non manifestarsi del tutto. Ciò che deve soprattutto insospettire è la comparsa improvvisa anche di una sola di queste condizioni e che deve indurre a chiamare subito il 118. Quando i sintomi spariscono completamente senza lasciare segni si parla di TIA (attacco ischemico transitorio): può durare da pochi minuti a parecchie ore ed è un campanello d’allarme importante per l’ictus; perciò, è fondamentale rivolgersi subito alle strutture d’emergenza.

Cosa fare?

Il Ministero della salute ricorda quattro semplici azioni da mettere in pratica quando si sospetta che una persona sia stata colpita da un ictus. Sono test riassumibili nell’acronimo FAST (Cincinnati Prehospital Stroke Scale):

F (come Face: Faccia): chiedere alla persona di sorridere e osservare se un angolo della bocca non si solleva o “cade” e la bocca appare “storta”.
A (come Arms: braccia): chiedere alla persona di alzare entrambe le braccia e osservare se presenta difficoltà/incapacità a sollevare un braccio o a mantenerlo alzato allo stesso livello dell’altro;
S (come Speech: linguaggio): chiedere alla persona di ripetere una frase semplice e valutare se il suo modo di parlare risulti strano (parole senza senso) o biascicato;
T (come Time: Tempo): se è presente uno qualunque di questi segni, bisogna chiamare immediatamente il 118.

Epidemiologia

Secondo dati del Ministero della salute, nel 2019 l’ictus ha causato 6,55 milioni di decessi in tutto il mondo, risultando la seconda causa di morte dopo la cardiopatia ischemica, con un’incidenza di 12,2 milioni di casi. Più frequente è la forma ischemica di ictus, che ha provocato 3,29 milioni di decessi, con un’incidenza di 7,63 milioni di casi. La quinta edizione dello European Cardiovascular Disease Statistics indica l’ictus come la seconda causa di morte in Europa, con 405.000 decessi (9%) negli uomini e 583.000 (13%) decessi nelle donne.

In Italia nel 2019 sono stati registrati 86.360 ricoveri per acuti in regime ordinario per ictus, mentre i dati Istat indicano che nel 2018 le malattie cerebrovascolari (tra le quali l’ictus è la manifestazione clinica più frequente) sono la seconda causa di morte, dopo le malattie ischemiche del cuore, con 55.434 decessi (l’8,8% di tutti i decessi), di cui 22.062 maschi (7,3%) e 33.372 femmine (10,1%).

La mortalità per ictus è del 20-30% a 30 giorni dall’evento e del 40-50% a distanza di un anno, mentre il 75% dei pazienti sopravvissuti presenta qualche forma di disabilità che nella metà dei casi comporta perdita dell’autosufficienza. La prevalenza e l’incidenza dell’ictus aumentano con l’età, in particolare a partire dai 55 anni, mentre dopo i 65 l’aumento dell’incidenza è esponenziale.

Diagnosi

La diagnosi si basa principalmente sulla valutazione clinica, atta specialmente a identificare la causa dell’ictus. In generale la diagnosi è suggerita da un improvviso deficit neurologico riferibile a uno specifico territorio arterioso. Per alcuni ictus non può essere identificata una causa (si parla in questo caso di ictus criptogenetico).

L’ictus ischemico deve essere distinto da altri eventi che determinano simili deficit focali. La valutazione richiede la valutazione del parenchima cerebrale, del sistema vascolare (compreso il cuore e le grandi arterie) e del sangue. Vengono usati, in aggiunta alla valutazione clinica, procedure di neuroimaging e il dosaggio della glicemia al letto del paziente (“bedside glucose testing”).

Terapia: il ruolo dell’eparina

Esiste una terapia per l’ischemia cerebrale che si può eseguire solo nelle prime ore dopo l’evento. Questa terapia, chiamata trombolisi, può riaprire l’arteria chiusa e salvare una parte del tessuto cerebrale colpito. Consiste nella somministrazione di farmaci, come l’eparina, che vanno a sciogliere i trombi che hanno causato l’ictus: intervenire precocemente significa allungare le prospettive di vita e ridurre la disabilità connessa all’evento. La buona notizia riguarda proprio il tempo a disposizione per intervenire in modo efficace: fino al 2009 si pensava che i massimi benefici delle cure si ottenessero entro le prime tre ore, in seguito questo intervallo è stato esteso fino a 4,5 ore dall’esordio dei sintomi.

Dall’ultimo Congresso dell’European Stroke Organisation (2019) arriva invece la notizia che il trattamento trombolitico può essere somministrato, con buoni risultati, entro una finestra temporale più lunga, che può arrivare fino alle 9 ore dopo la comparsa dei sintomi, in pazienti selezionati, previa esecuzione di esami neuroradiologici di secondo livello (TAC perfusionale o risonanza magnetica) che permettono di evidenziare l’area di cervello ormai persa, necrotica, e quella ancora “salvabile”. Stessa cosa per la trombectomia meccanica (che consiste nell’arrivare a un grosso vaso cerebrale chiuso da un trombo, per aspirarlo e rimuoverlo), autorizzata in passato fino a sei ore dall’inizio dei sintomi: le nuove linee guida hanno esteso la finestra di trattamento fino a 24 ore.

Tempistiche della terapia anticoagulante

Poiché, come sottolineano diversi studi, la tempistica è fondamentale per salvare la vita del paziente e prima si riconosce e si cura l’ischemia, più possibilità ci sono di sopravvivere, è fondamentale, alla comparsa dei primi sintomi, chiamare subito il 118, in modo da predisporre subito il trasporto in una Stroke Unit. Lì verrà effettuata una TAC per capire se si tratta di ictus ischemico o emorragico.

L’ictus è correlato a un’elevata mortalità e il rischio aumenta con l’età. Inoltre un terzo dei sopravvissuti rimane segnato da gravi invalidità fisiche (paralisi, perdita di sensibilità, difficoltà nel parlare, mangiare, leggere e scrivere, cecità). Il ricovero immediato in una struttura specializzata e l’inizio tempestivo dei trattamenti riducono considerevolmente questi eventi.

Farmaci e chirurgia

Se l’eparina è la terapia salvavita da attuare il prima possibile dopo un ictus ischemico, i farmaci antiaggreganti e il warfarin possono aiutare a ridurre il rischio di recidive. In ambito chirurgico, due sono le tecniche abitualmente utilizzate, a cui il paziente viene sottoposto quando le condizioni si sono stabilizzate, che permettono – migliorando l’apporto di sangue al cervello – di far recuperare quelle aree non funzionanti: l’endoarteriectomia (TEA) e lo stenting.

Quest’ultimo consiste nell’impianto di un dispositivo a palloncino all’estremità dell’arteria ostruita, che viene poi “gonfiato” finché il vaso non ha recuperato il suo diametro originario e il sangue riprende a fluire. Tale tecnica peraltro viene effettuata in casi selezionati non fornendo risultati analoghi alla TEA. L’endoarteriectomia carotidea invece non prevede nessun impianto: il chirurgo si limita ad aprire il vaso e a ripulirlo dalle placche che ostruivano il passaggio del sangue. Questo intervento è stato ideato nel 1950 e oggi ancora è uno dei più eseguiti al mondo.

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