Quali sono i fattori che possono favorire il TEV in gravidanza e qual è il ruolo dell’eparina nel prevenirli? Per rispondere a queste domande abbiamo consultato il professor Massimo Candiani, primario dell’Unità di Ginecologia e Ostetricia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Le donne in gravidanza presentano un rischio di tromboembolismo venoso (TEV) da 4 fino a 10 volte maggiore rispetto alle donne non gravide. La variabilità della percentuale di rischio è legata alla compresenza di ulteriori fattori che possono favorire il TEV quali l’età della donna, l’obesità, stati trombofilici congeniti o acquisiti, precedenti episodi tromboembolici. Si stima che l’incidenza del TEV in gravidanza sia di 1:1000 aumentando fino a 5 volte nel puerperio.
TEV un rischio concreto in gravidanza
Se nei paesi in via di sviluppo la prima causa di mortalità materna risulta essere l’emorragia, in quelli industrializzati il primo posto tra le cause di decesso materno è appannaggio del TEV. I casi di TEV in gravidanza e nel post-partum, infatti, non sono diminuiti negli ultimi due decenni e la comparsa di TEV in attesa continua a rappresentare una significativa sfida per la salute della donna.
Senza dimenticare per altro che il TEV in gravidanza può causare non solo un aumento della mortalità ma anche della morbilità acuta e cronica. Si parla infatti di una morbilità “a lungo termine” associata alla sindrome post-trombotica. La maggior parte delle donne che hanno sviluppato TEV in gravidanza presentano sequele che vanno dalla sindrome post-trombotica fino alla ricorrenza di TEV.
Fattori determinanti
Le ragioni dell’aumentato rischio di TEV sono dovute innanzitutto allo stato di ipercoagulabilità proprio della gestazione che, da un punto di vista evolutivo, si lega alla necessità di proteggere la donna da eventuali fenomeni emorragici durante il parto. Contribuiscono al determinismo dello stato trombogeno anche meccanismi fisiologici e anatomici come l’aumentata stasi venosa, la compressione della vena cava inferiore e delle vene pelviche da parte dell’utero aumentato di dimensioni nonché la ridotta mobilità durante gli ultimi mesi di attesa. Il rischio di TEV aumenta poi con l’età e questo può essere spiegato con la compresenza, dopo i 35 anni, di altri fattori di rischio come l’ipertensione, le malattie cardiovascolari, l’obesità, la necessità di procedere al taglio cesareo.
I principali fattori di rischio di TEV in gravidanza sono rappresentati da:
- Età > 35 anni
- Peso > 80 Kg
- Anomalie trombofiliche congenite o acquisite
- Storia personale o familiare di TEV
- Pluriparità
- Immobilizzazione
- Insufficienza venosa severa
- Patologie associate (nefrosi, colite ulcerosa, infezioni)
- Pre-eclampsia
- Iperemesi / disidratazione
- Viaggi di lunga durata in aereo
- Parto cesareo (elettivo o in urgenza in corso di travaglio)
- Fumo
- Interventi chirurgici
- Traumi
Le anomalie trombofiliche congenite o acquisite sono individuabili in circa il 50% dei casi di TEV in gravidanza/puerperio: in tale contesto il TEV può essere la prima manifestazione di uno stato trombofilico misconosciuto.
Il ruolo delle EBPM
L’eparina non frazionata (ENF) e l’eparina a basso peso molecolare (EBPM) non attraversano la placenta e si possono quindi considerare farmaci sicuri per il feto. In particolare, le EBPM sono il farmaco d’elezione per la profilassi del TEV in gravidanza e puerperio in quanto efficaci al pari dell’ENF ma con maggiori vantaggi. L’impiego di ENF in gravidanza è gravato infatti da un modesto aumento del rischio di sanguinamento per la gestante e dalla possibile insorgenza di complicanze, per altro non frequenti, come l’osteoporosi. Il rischio di osteoporosi nonché di trombocitopenia eparino-indotta si stima essere inferiore somministrando EBPM al posto di ENF. Rispetto alla ENF, le EBPM presentano inoltre una migliore biodisponibilità, una emivita più lunga e un’attività anticoagulante maggiormente prevedibile; consentono, quindi, l’uso di dosaggi fissi e non necessitano del monitoraggio dell’aPTT.
Modalità d’utilizzo delle EBPM in gravidanza
La posologia dell’EBPM in gestazione deve essere adattata al peso e può essere incrementata nel secondo e nel terzo trimestre di gravidanza in relazione all’aumento ponderale e alle fisiologiche modificazioni della velocità di filtrazione glomerulare che determinano un aumento dell’escrezione renale di eparina. Anche l’incremento del legame proteico all’eparina e l’aumento del volume plasmatico propri della gravidanza possono determinare una ridotta emivita e concentrazioni plasmatiche più basse di EBPM rispetto alle donne non gravide suggerendo così la somministrazione di dosi più elevate e frequenti di farmaco onde ottenere concentrazioni plasmatiche efficaci. Non vi sono evidenze invece per suggerire l’aggiustamento della dose di EBPM in base alla determinazione dei livelli di attività anti-Xa.
L’assunzione di anticoagulanti deve essere sospesa 24 ore prima dell’induzione del parto, del taglio cesareo d’elezione oppure nel parto spontaneo all’inizio delle contrazioni uterine. Viene normalmente considerato sicuro lasciare la paziente senza protezione antitrombotica per 6-12 ore, nell’immediato periodo pre e post-partum. La terapia con EBPM dovrebbe essere protratta per almeno sei settimane dopo il parto per un periodo minimo totale di trattamento di tre mesi. I flaconi multidose di EBPM contenenti alcool benzilico non devono essere usati in gravidanza in quanto l’alcool benzilico può superare la barriera placentare ed essere potenzialmente embriotossico.
Quando ricorrere agli anticoagulanti orali in gravidanza
Solo in presenza di allergia all’eparina o di trombocitopenia eparino-indotta è suggerito l’impiego del Fondaparinux, un pentasaccaride sintetico che esplica la sua attività anticoagulante attraverso la specifica inibizione del fattore Xa. La terapia anticoagulante orale somministrata tra la sesta e la dodicesima settimana di gestazione può provocare malformazioni fetali, inclusa la cosiddetta “embriopatia da warfarin” che determina ipoplasia nasale, atrofia ottica, ritardo mentale di vario grado, microcefalia, microftalmia.
Altre complicanze riportate con l’uso di anticoagulanti orali in gravidanza riguardano un aumento del rischio di aborto spontaneo, morte intrauterina del feto, problemi neurologici a carico del neonato, emorragie fetali e materne. Per queste ragioni la terapia anticoagulante orale in attesa dovrebbe essere riservata esclusivamente alle pazienti per le quali può non risultare sufficiente la somministrazione di eparina come nelle donne portatrici di valvole meccaniche di vecchia generazione che determinano un rischio aumentato di trombosi anche in corso di terapia con ENF o EBPM. In questi soggetti può essere utile associare all’EBPM – 75-100 mg/die di aspirina.
La terapia in prossimità del parto
In prossimità del parto le donne che assumono per necessità anticoagulanti orali devono sospenderne l’assunzione ed essere trattate con dosi adeguate di ENF o EBPM. Le donne con un pregresso TEV e le portatrici di valvole cardiache meccaniche di nuova generazione in terapia con anticoagulanti orali dovrebbero sospenderne l’uso e passare all’EBPM non appena il test di gravidanza risulti positivo. Queste donne possono riprendere la terapia anticoagulante orale dopo la 13 settimana e passare nuovamente all’ENF o all’EBPM in prossimità del parto, circa 4 settimane prima, così da ridurre il rischio di complicanze emorragiche materne e neonatali. L’assunzione di anticoagulanti orali può essere ripresa in allattamento considerato l’esiguo passaggio dei dicumarolici nel latte materno.
Controindicazioni all’uso delle EBPM in gravidanza
La somministrazione di EBPM in gravidanza dovrebbe essere interrotta, sospesa o differita in caso di:
- emorragia pre o post-partum
- condizioni ostetriche ad elevato rischio emorragico come la placenta previa
- diatesi emorragica
- trombocitopenia
- recente accidente cerebrovascolare acuto, ischemico o emorragico
- grave nefropatia
- ipertensione non controllata
In conclusione
Il 40-50% dei casi di TEV in gravidanza si verifica nel corso del primo trimestre: la profilassi antitrombotica in gravidanza, qualora necessaria, dovrebbe essere iniziata quindi al più presto. Se ne deduce che la valutazione del rischio tromboembolico è di fondamentale importanza, prima della gravidanza o nelle primissime settimane, onde definire l’opportunità di un approfondimento diagnostico e la necessità di misure di prevenzione. Tale valutazione andrebbe sottoposta a revisione nel momento in cui la paziente dovesse essere ricoverata o sviluppasse complicanze ostetriche intercorrenti.
Indipendentemente dal rischio di ogni singola paziente, in linea generale è opportuno scoraggiare sempre l’immobilità durante la gravidanza, il travaglio di parto e il puerperio perché questa comporta un aumentato rischio di TEV. Poiché il rischio di TEV aumenta con il parto cesareo, soprattutto nelle donne con trombofilia, è raccomandabile ricorrervi solo se effettivamente necessario. Ulteriori metodiche non farmacologiche di tromboprofilassi raccomandate sono un’idratazione adeguata e l’uso di calze elastiche.