Al recente congresso “Nel Cuore di Santa. Il Cardiologo e il MMG sul territorio”, che ha visto la partecipazione di circa 500 medici, nella sessione dedicata ai disturbi cardiovascolari e alla prevenzione con eparina si è parlato della correlazione tra infezioni e tromboembolismo venoso (TEV), la terza diagnosi cardiovascolare più comune, con un tasso di incidenza di 1 su 1000 all’anno nei cinquantenni e dell’1% all’anno nei nonagenari. Si tratta della formazione di trombi nel sangue delle vene (embolia venosa) che in alcuni casi possono raggiungere cuore e polmoni (embolia polmonare), con esiti anche fatali.
Il legame tra tromboembolismo venoso e infezioni
«Circa il 50% di tutti gli eventi di tromboembolismo venoso si verifica a causa di un ricovero ospedaliero, sia per intervento chirurgico che per malattia medica acuta come, per esempio, una broncopolmonite batterica o virale, anche non Covid-correlata», spiega Roberto Pescatori, presidente del Congresso, medico di medicina generale, specialista in cardioangiochirurgia e Coordinatore Nazionale SIC SPORT per la Medicina Generale Casa di Cura Villa Montallegro di Genova.
«La presenza di una malattia medica, come un’infezione che porta al ricovero ospedaliero, comporta un rischio 8 volte superiore di sviluppare un tromboembolismo. Un’infezione implica infatti l’attivazione del sistema di coagulazione del sangue e l’infiammazione, entrambi meccanismi di autodifesa dell’organismo fondamentali in caso di “attacco” di virus e batteri. La TEV, in casi rari ed estremi, può portare anche a situazioni pericolosissime come una coagulazione intravascolare disseminata (DIC), che può comportare la disfunzione d’organo e/o emorragia, con esiti potenzialmente fatali. In generale, l’associazione di TEV durante un’infezione aumenta la mortalità.
La prevenzione con eparina
È ormai noto come il tromboembolismo venoso ospedaliero sia prevenibile utilizzando terapie che includono l’uso di anticoagulanti come l’eparina. Tuttavia, se è ormai una prassi codificata la somministrazione di eparina dopo un intervento chirurgico di ortopedia, non è ancora consolidato l’utilizzo in caso di infezioni anche comuni come l’influenza stagionale che però, in caso per esempio di paziente allettato, magari con problemi circolatori e/o età superiore a 65 anni, possono essere correlate a un rischio tromboembolitico».
È stato dimostrato che la tromboprofilassi, se correttamente effettuata, è in grado di ridurre il rischio di TEV nei pazienti medici e chirurgici ospedalizzati. Per esempio negli studi MEDENOX (Prophylaxis in Medical Patients with Enoxaparin) ed EXCLAIM (Extended Prophylaxis for Venous ThromboEmbolism in Acutely III Medical Patients With Prolonged Immobilization) è emerso come nei pazienti ricoverati per infezioni polmonari, se trattati con eparina, vi sia una significativa riduzione degli eventi di TEV. Mancano però dati recenti. «Gli studi dedicati alle complicanze cardiovascolari del Covid-19 hanno evidenziato il pleiotropismo del virus», spiega lo specialista, «cioè la sua capacità di favorire la formazione di trombi, sottolineando una relazione tra infezione, anche non respiratoria, e aumento della coagulazione del sangue.
Bisogna alzare il livello di guardia», prosegue Pescatori, «identificando tutte le situazioni di rischio di tromboembolismo venoso in cui l’eparina può svolgere un ruolo salva-vita. Per esempio, prendendo in considerazione la somministrazione preventiva in tutti i casi di febbre alta, di diversa origine, con possibilità di allettamento, per un tempo variabile a seconda del caso e della patologia, ma soprattutto della storia pregressa di TEV».
Chi sono i pazienti candidati alla profilassi con eparina?
«Non esiste al momento un identikit», precisa il medico, «perché qualsiasi paziente ospedalizzato o immobilizzato a causa di un potente stato infiammatorio (non parliamo dunque solo di infezioni respiratorie) può andare incontro a un rallentamento motorio, con conseguente alterazione della stabilità del sangue. Di sicuro rischia di più chi presenta uno o più di questi fattori: età superiore a 75 anni, contemporanea presenza di neoplasie, obesità e una precedente storia di TEV. Questi sono fattori di rischio ben noti, così come una precedente infezione respiratoria, che può aumentare il rischio di tromboembolismo venoso nei 3 mesi successivi all’infezione».
Quali dosi di eparina somministrare e con quali tempistiche?
Uno studio italiano che vede coinvolti 13 centri ospedalieri ha valutato la tesi di iniziare la terapia anticoagulante presto, quando la malattia è moderata o severa, e ha confermato l’efficacia di una dose aumentata nei pazienti non critici, non ricoverati in terapia intensiva. Si sta quindi facendo strada l’ipotesi di trattare la coagulopatia nel Covid-19 in fase precoce, quando non è ancora esplosa la tempesta citochinica, utilizzando una dose di anticoagulante superiore a quella di profilassi, come previsto dalle iniziali raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.