Il ruolo dell’eparina nelle Sindromi Coronariche Acute

Nonostante l’avvento delle nuove terapie anticoagulanti, l’eparina ha mantenuto un ruolo centrale in cardiologia, in particolare nel trattamento dell’infarto del miocardio e in generale delle Sindromi Coronariche Acute (SCA). Per comprendere meglio in cosa consiste la terapia eparinica e come va somministrata in questi casi, è opportuno chiarire più nel dettaglio quali sono le patologie per le quali è indicata.

 

Sindromi coronariche acute: di cosa si tratta

«Per Sindromi Coronariche Acute (SCA) si intende un gruppo eterogeneo di manifestazioni cliniche determinate da ischemia miocardica acuta, ovvero da riduzione dell’apporto di sangue al muscolo cardiaco» spiega Marco Triggiani, cardiologo presso l’Ospedale di Gavardo (BS). «La causa più frequente dell’ischemia miocardica è l’ostruzione parziale o competa di un’arteria coronarica a partire da una placca aterosclerotica. Il sintomo principale delle SCA è il dolore toracico, spesso descritto come sensazione di peso o oppressione retrosternale/epigastrica. Il dolore inoltre è più o meno irradiato al braccio sinistro o associato a sensazione di difficoltà respiratoria (dispnea)». Sulla base delle alterazioni dell’elettrocardiogramma si possono distinguere due quadri clinici:

1) Sindromi Coronariche Acute con sopraslivellamento del tratto ST (infarto miocardico STEMI) che generalmente riflette un’occlusione coronarica totale o subtotale che richiede immediata riapertura dell’arteria tramite angioplastica percutanea o, se quest’ultima non è disponibile in tempi brevi, terapia fibrinolitica;

2) Sindromi Coronariche Acute senza sopraslivellamento del tratto ST (che possono includere diverse ed eterogenee alterazioni del tracciato elettrocardiografico) a cui può corrispondere o la morte di alcune cellule miocardiche (infarto miocardico NSTEMI) o, meno frequentemente, l’ischemia senza danno cellulare (angina instabile).

La terapia nelle Sindromi Coronariche Acute

Le più recenti Linee Guida della Società Europea di Cardiologia sul trattamento delle SCA ribadiscono che, dopo un’attenta valutazione del rischio ischemico ed emorragico, alla terapia anticoagulante parenterale va associata a una terapia anti-aggregante piastrinica. Questo approccio è raccomandato in tutti i pazienti, ed in particolare in coloro che devono essere sottoposti a procedura di rivascolarizzazione coronarica urgente (angioplastica).

I farmaci anticoagulanti indicati dalle attuali Linee Guida europee sono eparina non frazionata, eparina a basso peso molecolare, fondaparinux e bivaluridina.
L’eparina non frazionata (UHF), grazie al suo favorevole profilo di rischio-beneficio, è considerata la terapia standard immediatamente prima o talvolta durante la procedura di angioplastica. Enoxaparina, un’eparina a basso peso molecolare con una relazione dose-effetto prevedibile e un minor rischio di trombocitopenia indotta da eparina rispetto a UHF, può essere presa in considerazione in alcune tipologie di pazienti.

In una metanalisi che includeva pazienti con SCA, è stato riportato un modesto vantaggio di enoxaparina su eparina non frazionata in termini di ridotta mortalità e ridotte complicanze emorragiche, ma ad oggi non esistono studi di confronto su larga scala dei due trattamenti.
In ogni caso, fatta eccezione per contesti clinici specifici (quali la presenza di fibrillazione atriale o di trombosi intraventricolare), il trattamento anticoagulante deve essere sospeso immediatamente dopo la procedura di angioplastica.

Infarto del miocardio: l’eparina può servire anche dopo

Nelle Sindromi Coronariche Acute/STEMI, quando i tempi di trasporto al centro hub per la coronarografia e la conseguente angioplastica sono superiori ai 90 minuti, la terapia fibrinolitica rappresenta l’alternativa principale. La fibrinolisi viene attuata con l’infusione di farmaci che favoriscono lo scioglimento del trombo.
«Va comunque sottolineato che devono sempre essere prese in considerazione le eventuali controindicazioni al trattamento e che la maggior probabilità di successo di tale terapia si riscontra quando viene praticata entro 2 ore dall’insorgenza dei sintomi» puntualizza il dottor Triggiani. «Nei pazienti in cui la fibrinolisi sia risultata efficace, si raccomanda comunque lo studio coronarografico e l’eventuale procedura interventistica entro le 24 ore».

Poiché la terapia con fibrinolitici può avere effetti pro-coagulanti, è necessario farla seguire alla somministrazione di anticoagulanti fino alla rivascolarizzazione coronarica o, se quest’ultima non viene eseguita, fino all’ottavo giorno di degenza. «Enoxaparina, le cui modalità di somministrazione e dosaggi vanno adattati a seconda del peso e della funzione renale del paziente, rappresenta il farmaco di prima scelta in quanto ha mostrato una maggiore efficacia rispetto a UFH nel ridurre gli eventi vascolari maggiori nei pazienti con Sindromi Coronariche Acute/STEMI trattati con fibrinolitici» conclude Triggiani.

 


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