È risaputo che il rischio di sviluppare una trombosi è più elevato nei malati oncologici. Si chiama sindrome di Trousseau, dal nome del medico francese che la descrisse nell’Ottocento. Il fenomeno è noto dunque da molti anni: per questi pazienti si parla di un rischio 4-5 volte superiore.
Trombosi associata al cancro: un fenomeno frequente
Gli studi hanno osservato che nei malati oncologici vi sono alterazioni del sistema coagulativo, a causa di aumentata produzione di piastrine (trombocitosi), presenza di fattori procoagulanti rilasciati dalle cellule tumorali (CSF), attivazione delle piastrine da parte di prodotti tumorali, rilascio di fattore tissutale o di altre sostanze con attività tromboplastinica da parte del tumore.
Queste alterazioni spiegano le complicanze trombotiche che si verificano in molti pazienti oncologici, pur non avendo questi fattori di rischio come allettamento, fumo, obesità, presenza di vene varicose, recente intervento chirurgico ed altri. Il riscontro di una trombosi può essere anche la prima manifestazione di uno stato di ipercoagulabilità determinato dalla neoplasia. La Sindrome di Trousseau è frequente soprattutto in pazienti con cancro del pancreas, del tratto digerente e del polmone e consiste proprio nella comparsa di trombosi venose multiple.
Sfortunatamente, nonostante l’ampia mole di prove che dimostrano la sicurezza e l’efficacia degli anticoagulanti nella prevenzione e nel trattamento della trombosi venosa in questa popolazione, è ben noto che i pazienti con trombosi associata al cancro (CAT) continuano ad avere una maggiore ospedalizzazione con un aumento del rischio di mortalità e tassi ridotti di trombolisi. Questo suggerisce che, nonostante l’evidenza clinica e le chiare raccomandazioni delle linee guida per i pazienti con cancro, la prevenzione e il riconoscimento della CAT rimangono non adeguati tra gli operatori sanitari e tra i pazienti.
Un sondaggio su pazienti oncologici e rischio trombosi
Un sondaggio recente effettuato in sei Paesi europei e coordinato dalla European Cancer Patient Coalition (ECPC), i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cancer Treatment and Research Communications ha indagato sulla consapevolezza da parte dei pazienti oncologici di essere maggiormente esposti al rischio di sviluppare una trombosi. Il sondaggio è stato effettuato in sei Paesi: Italia, Francia, Germania, Grecia, Regno Unito e Spagna, per un totale di 1.365 soggetti coinvolti, tra i quali si annoverano sia pazienti oncologici sia le persone che si prendono cura dei malati (caregiver).
Per quanto riguarda l’Italia, che ha contribuito al sondaggio con le risposte fornite da 246 persone, il 73 per cento dei pazienti e caregiver ha dichiarato di non essere a conoscenza del fatto che esista un rischio maggiore di trombosi legato proprio alla malattia o ai trattamenti a essa collegati. In un caso su 4 (24%) la consapevolezza dell’aumento del rischio è arrivata solo dopo la scoperta di avere una trombosi.
Sempre in base ai risultati del sondaggio, coloro che erano al corrente del rischio aumentato di trombosi hanno dichiarato di aver ricevuto informazioni orali in merito dai medici, spesso da quelli ospedalieri (11%), mentre nel 6% dei casi le informazioni sono arrivate attraverso ricerche personali, in genere online.
Il rischio maggiormente noto ai pazienti coinvolti nel sondaggio è risultata senza dubbio l’inattività (89%). Meno noti si sono dimostrati altri fattori di rischio, come per esempio una precedente trombosi (83%), la chirurgia o la chemioterapia per il tumore (75% per entrambe le voci), un tumore in stadio avanzato (62%) e la radioterapia (52%).
Le conclusioni
È evidente da questa ampia indagine che i professionisti oncologici devono comprendere meglio le lacune nella conoscenza dei pazienti in merito alla trombosi associata al cancro. «Gli operatori sanitari – concludono gli Autori- devono fornire istruzioni ai pazienti attraverso il continuum delle cure. Abbiamo una responsabilità collettiva nell’usare questa indagine come punto di partenza e fornire indicazioni ai malati oncologici su come identificare segni e sintomi di CAT per consentire una diagnosi e un trattamento più rapidi.
È inoltre necessario sottolineare una migliore educazione in merito ai benefici e ai rischi dell’uso della terapia anticoagulante. È stato fornito un esempio di un modello di educazione del paziente basato su un team multidisciplinare di esperti che potrebbe essere adattato e implementato nei centri oncologici di tutta Europa.
In questo sondaggio abbiamo anche suggerito eccellenti risorse online basate sull’evidenza a cui gli operatori sanitari possono accedere facilmente. In definitiva, i risultati potranno essere migliorati se riconosciamo e sviluppiamo strategie convincenti per educare i nostri pazienti oncologici sui fattori di rischio, sul trattamento e sugli effetti collaterali ad esso correlati».