Chirurgia ortopedica minore: profilassi anti tromboembolitica sì o no?

Subire un’artroscopia del ginocchio o della caviglia, essere operati al piede, o procurarsi una frattura composta a un arto: sono tutte situazioni che richiedono interventi ortopedici di minore entità. In questi casi, è richiesta o no la profilassi anti tromboembolitica? Le linee guida non sempre concordano e gli studi in merito sono in numero inferiore rispetto a quelli relativi alla chirurgia ortopedica maggiore. Abbiamo chiesto al professor Valerio Sansone, responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia Clinicizzata all’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano di chiarirci la questione.

Quando è davvero necessario effettuare la profilassi per tromboembolismo venoso (TEV) in chirurgia ortopedica minore?

«La chirurgia ortopedica minore non comporta un rischio elevato di TEV e la profilassi può essere omessa nelle procedure semplici. Tuttavia, non appena sono presenti ulteriori fattori di rischio, è necessario eseguire un’analisi caso per caso del paziente.
I fattori di rischio da considerare sono:

  • Età > 60 anni
  • Obesità (BMI > 30)
  • Cancro in fase attiva
  • Terapia ormonale in corso (contraccettiva, sostituzione ormonale, tamoxifene)
  • In gravidanza o subito dopo il parto
  • Presenza rilevante di vene varicose
  • Qualsiasi grave comorbidità medica
  • Storia di TEV
  • Trombofilia nota
  • Fumatore attivo
  • Immobilizzazione a letto negli ultimi 3 mesi
  • Immobilizzazione totale o parziale con un tutore per più di due settimane

Quale tipo di profilassi effettuare e per quanto tempo?

«Non c’è una posizione univoca tra i vari studiosi nello stabilire quando la profilassi è necessaria né su quale farmaco assumere quando la profilassi è considerata opportuna. Basti dire che per le linee guida nordamericane la profilassi con eparina a basso peso molecolare non è raccomandata, mentre per quelle europee rappresenta lo standard. Di sicuro, il recente avvento degli anticoagulanti orali sta portando a rivedere diverse convinzioni.

Un esempio può essere fornito dallo studio PRONOMOS (Prophylaxis in Nonmajor Orthopaedic Surgery) per valutare l’efficacia di un anticoagulante orale diretto (rivaroxaban) rispetto alla più popolare eparina a basso peso molecolare (enoxaparina). Rivaroxaban è risultato più efficace dell’enoxaparina nella prevenzione di eventi tromboembolici venosi durante un periodo di immobilizzazione dopo chirurgia ortopedica minore degli arti inferiori.

Per quanto concerne la durata del trattamento, questa è condizionata da vari elementi come la durata dell’immobilizzazione, la presenza di tutori, gessi, etc. e che sia o meno consentito il carico. In linea di massima, quando si usa la profilassi farmacologica, si consiglia una durata minima del trattamento di 7 giorni, che va estesa a 4-6 settimane dopo operazioni maggiori».

Se un paziente è già in terapia antiaggregante-anticoagulante come ci si comporta?

La risposta non è semplice, perché si devono valutare diversi parametri come il tipo di farmaco con cui il paziente è in terapia, il rischio di tromboembolismo, il tipo di operazione. Volendo generalizzare e sempre restando nell’ambito della chirurgia poco invasiva, possiamo dire che coloro che assumono gli antagonisti della vitamina K, devono sospenderli. Il timing ottimale è 5 giorni prima dell’operazione. In questi giorni, i pazienti ad alto rischio devono iniziare la cosiddetta “bridging therapy” passando alla somministrazione di eparina a basso peso molecolare.

La sospensione vale anche per coloro che assumono aspirina e/o antiaggreganti. In questi casi il periodo di sospensione è di 7-10 giorni prima dell’operazione ma nei pazienti ad alto rischio si deve valutare caso per caso. Per i nuovi anticoagulanti orali diretti il discorso si fa ancora più complicato, perché secondo alcuni l’assunzione può continuare regolarmente, secondo altri va sospesa. A seconda di alcuni parametri del sangue del paziente, la sospensione può essere attuata dalle 24 alle 72 ore prima dell’operazione.

Esistono fattori di rischio aggiuntivo legati all’intervento in sé?

I fattori di rischio legati alla chirurgia ortopedica si possono riassumere in quelli che sono i tre elementi che favoriscono la formazione di trombi: danno endoteliale dei vasi sanguigni, stasi del flusso sanguigno e ipercoagulabilità del sangue. La presenza del laccio emostatico, l’immobilizzazione e il riposo a letto causano stasi del sangue venoso; le procedure chirurgiche sull’arto operato possono causare lesioni vascolari endoteliali; il trauma di per sé provoca il rilascio di sostanze che favoriscono la coagulazione; l’uso del cemento osseo (polimetilmetacrilato) in chirurgia protesica aumenta l’ipercoagulabilità (Flevas et al., 2018).

Gli studi POT-KAST e POT-CAST hanno messo in dubbio l’utilità della profilassi in caso di ingessatura e artroscopia: qual è adesso la posizione della comunità scientifica?

Nello studio sulla prevenzione della trombosi dopo artroscopia del ginocchio senza immobilizzazione (POT-KAST, 2017) la profilassi con eparina a basso peso molecolare è stata confrontata con placebo (nessuna profilassi). Il risultato è che non ci sono state differenze significative, il che suggerisce che questo tipo di profilassi non sia necessaria in questi casi.

È stata poi valutata l’efficacia della profilassi con eparina a basso peso molecolare durante l’immobilizzazione con doccia gessata al di sotto del ginocchio (POT-CAST). Anche in questo caso non si è osservato un vantaggio nel somministrare la profilassi.

Infine, una revisione della letteratura del 2021, ha confermato che nelle artroscopie semplici di ginocchio, classico intevento di chirurgia ortopedica minore, non c’è necessità di effettuare una profilassi. Ma, come detto in precedenza, si devono valutare i fattori di rischio individuali in base ai quali stabilire se effettuare o meno la profilassi tromboembolica anche nei casi meno complessi di chirurgia ortopedica minore.

 

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