Covid-19 e rischio tromboembolismo: il ruolo di eparina nei pazienti non ricoverati

Nei mesi successivi allo scoppio della pandemia da SARS-CoV2 la comunità scientifica non ha potuto che constatare un fatto: i pazienti ricoverati per Covid-19 in forma severa presentavano un rischio elevato di eventi tromboembolici, talvolta arteriosi, assai più spesso venosi. Sulla base di questi presupposti l’utilizzo di farmaci anticoagulanti, prevalentemente eparina a basso peso molecolare, si è rapidamente diffuso come standard di cura per questi pazienti.

Prof. Massimo Salvetti
Prof. Massimo Salvetti

«Il rischio di tromboembolismo venoso nei pazienti ricoverati in ospedale è risultato talmente elevato», spiega Massimo Salvetti, professore ordinario di Medicina interna e Direttore Medicina d’Urgenza, ASST Spedali Civili di Brescia, «che in alcune categorie di pazienti alcune Società scientifiche hanno cominciato a suggerire di considerare, per la profilassi del tromboembolismo venoso, l’impiego di dosi terapeutiche di anticoagulanti, rispetto alle “classiche” dosi profilattiche». Abbiamo chiesto all’esperto, che per l’attività svolta durante la pandemia SARS- COv2 è stato insignito dell’Onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana,
di fare il punto della situazione.

Perché questo elevato rischio di tromboembolismo associato a Covid-19?

«È dovuto al fatto che, assai spesso, l’infezione da SARS-CoV2 è caratterizzata dalla presenza di iper-infiammazione e, talvolta, addirittura del quadro di “tempesta citochinica”», chiarisce il professore. «È noto che lo stato infiammatorio rappresenta in generale, anche al di fuori del quadro clinico associato all’infezione da parte di questo virus, un potente fattore predisponente per complicanze tromboemboliche. Inoltre l’infezione da SARS-CoV2 può indurre danno endoteliale, sia come diretta conseguenza dell’invasione virale dell’endotelio stesso sia in seguito alla risposta infiammatoria dell’ospite. Non stupisce che, soprattutto nei pazienti ospedalizzati, il rischio tromboembolico sia elevato».

E per chi non è ricoverato?

«Si tratta di un aspetto ancora controverso poiché i dati più robusti e univoci in letteratura sul rischio di tromboembolismo riguardano i pazienti ricoverati in ospedale. Una recente meta-analisi indica che il 15% dei pazienti ricoverati per Covid-19 grave ha un decorso complicato da un evento tromboembolico e la percentuale sale al 23 % quando i pazienti sono ricoverati in terapia intensiva. Le analisi effettuate nei pazienti non ospedalizzati hanno dato risultati discordanti, con alcuni studi di coorte che non evidenziano un aumento del rischio, altri che indicano un rischio tromboembolico significativamente aumentato. Altri lavori, effettuati con l’approccio “self controlled case series study”, che prevede che il paziente sia il controllo di sé stesso, mostrano un aumento del rischio tromboembolico.

È verosimile che il rischio sia aumentato nei pazienti non ricoverati?

I risultati di uno studio pubblicato sulla rivista JAMA Internal Medicine a fine agosto 2022 potrebbero far luce su questi aspetti: l’articolo ha analizzato il rischio di eventi tromboembolici venosi in un ampio numero di pazienti con infezione da SARS-COV-2 che non ha richiesto il ricovero ospedaliero. Esaminando i dati relativi a 18.818 pazienti ambulatoriali con Covid-19, confrontati a 93.179 controlli, i ricercatori hanno evidenziato come l’infezione da virus SARS-CoV2 fosse associata a un aumento di 21 volte del rischio di eventi tromboembolici (50.99 eventi per 1000 pazienti/anni rispetto a 2.37 per 1000 pazienti/anni per infettati e non infettati, rispettivamente)».

I vaccini offrono una protezione anche in questo senso?

«Sì. Si è visto dalle analisi che nei soggetti che si infettavano dopo un ciclo vaccinale completo il rischio di tromboembolismo risultava attenuato: i dati indicavano un rischio aumentato di circa sei volte, dunque ridotto a meno di un terzo rispetto a quanto osservato nel resto degli infettati».

C’è un identikit di pazienti ambulatoriali più a rischio di tromboembolismo dopo Covid-19?

«L’accurata fenotipizzazione dei soggetti coinvolti nello studio ha consentito ulteriori analisi che hanno dimostrato che il rischio di tromboembolismo Covid-correlato è particolarmente elevato nei soggetti anziani, nei maschi e negli obesi. Inoltre, in 21.055 soggetti infettati erano disponibili i dati relativi al rischio di trombofilia geneticamente determinata, riscontrata in 1.287 pazienti (6.11%). In questi soggetti il rischio tromboembolico è risultato raddoppiato».

Quali sono i benefici dell’utilizzo di eparina?

«Oltre a quelli legati all’effetto anticoagulante, che potrebbe offrire vantaggi preventivi nei confronti dello sviluppo del quadro di vasculopatia arteriosa e venosa a carico del macro- e microcircolo, l’eparina si è dimostrata in grado di esercitare un effetto antinfiammatorio, a cui si potrebbe anche associare un’azione antivirale riscontrata in studi sperimentali».

Che prospettive ci sono?

«Questo studio fornisce informazioni preziose per la comunità scientifica e per i clinici: è ragionevole attendersi che la gestione dei pazienti con infezione da SARS-CoV2 divenga sempre più ambulatoriale in futuro».

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