Il post partum rappresenta probabilmente il momento a più alto rischio trombotico nel corso della vita di una donna. In questo periodo infatti, ma anche nell’ultimo trimestre di gravidanza, il sangue coagula più facilmente. Si tratta di un meccanismo fisiologico che serve a proteggere la donna da eventi emorragici. Questo però comporta un aumentato rischio di trombosi: «è stato calcolato che nel post partum esso aumenti addirittura da 21 a 84 volte rispetto allo stato pre-gravidico, raggiungendo un picco nelle prime 3 settimane dopo il parto. In gravidanza, questo rischio aumenta invece di 4-6 volte» spiega Luca Valsecchi, ginecologo, responsabile Sala Parto IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
I fattori che aumentano il rischio
Questo accade soprattutto se sono compresenti alcuni fattori che portano a una predisposizione trombofilica. Tra questi, ad esempio, troviamo:
- anomalie ereditarie della coagulazione del sangue (trombofilie ereditarie);
- anomalie acquisite della coagulazione del sangue (trombofilie acquisite), tra cui la sindrome da anticorpi antifosfolipidi;
- età superiore ai 35 anni;
- obesità;
- fumo di sigaretta;
- eccessiva sedentarietà;
- ipertensione e malattie cardiovascolari;
- pregresso episodio di tromboembolismo venoso (TEV);
- gravidanze multiple;
- taglio cesareo;
- fecondazione in vitro;
- pre eclampsia;
- emorragia post partum
La presenza di almeno un fattore di rischio maggiore (ad esempio trombofilia, precedente TEV) è suggestiva di un rischio di tromboembolismo venoso post partum superiore al 3%, mentre la presenza di almeno due fattori di rischio minore (come gravidanza mutipla, obesità) o di uno solo in caso di taglio cesareo di urgenza, è indicativa di un rischio di TEV post partum superiore al 3%.
Quando il parto è cesareo
«Tra le linee guida più aggiornate, si possono prendere come riferimento le Green Top Guidelines del RCOG (Royal College of Obstetricians and Gynaecologists). In accordo con queste, la profilassi tromboembolica dopo parto chirurgico è indicata in caso di cesareo effettuato in corso di travaglio (cesareo urgente) oppure, in caso di cesareo elettivo, in presenza di fattori di rischio aggiuntivi per trombosi (per esempio abitudine al fumo, obesità, età superiore ai 35 anni)» chiarisce il dottor Valsecchi.
«Sempre considerando le linee guida più aggiornate, la profilassi dovrebbe essere condotta per almeno 10 giorni nelle pazienti a rischio intermedio, e per almeno 6 settimane nelle pazienti a più alto rischio tromboembolico (per esempio pazienti con trombofilia congenita/acquisita o con pregresso episodio tromboembolico)». La terapia con eparina a basso peso molecolare è sicura in allattamento così come un’eventuale terapia anticoagulante orale con warfarin; al contrario non sono ad oggi raccomandati in allattamento i nuovi anticoagulanti orali (inibitori diretti del Fattore Xa della coagulazione o della trombina).
Eparina nel post partum naturale
«L’uso di eparina a basso peso molecolare dopo parto naturale è indicato qualora sussistano fattori di rischio tromboembolici aggiuntivi. In particolare esistono degli score che possono guidare il clinico nella decisione se instaurare o meno una profilassi trombotica nel puerperio; questi sistemi a punteggio raggruppano diversi fattori di rischio, con peso individuale differente a seconda del rischio aggiuntivo che ciascuno di essi comporta (vedi score rischio tromboembolico RCOG)» precisa il ginecologo. In linea generale, la profilassi è raccomandata nelle pazienti con pregresso evento tromboembolico, con trombofilia congenita o acquisita, con neoplasia, con patologia autoimmune (es. Lupus Eritematoso Sistemico) etc.
I dubbi dei ginecologi americani
Più recentemente l’American College of Obstetricians and Gynecologists ha limitato le indicazioni all’utilizzo dell’eparina nel post partum solo nei casi di trombofilia accertata e nelle donne che hanno un rischio calcolato del 2-5% di sviluppare una trombosi venosa profonda. Questo perché dopo un cesareo il TVE si manifesta circa nell’1% dei casi, una percentuale ritenuta troppo bassa per somministrare tout court la profilassi tromboembolitica. Il rischio, quindi, secondo l’American College of Obstetricians and Gynecologists, è quello di utilizzare l’eparina in donne che in realtà non ne avrebbero bisogno e che sono tendenzialmente giovani, sane e vengono mobilizzate precocemente nel post-partum, anche dopo un cesareo.